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“A casa tutto bene”: il nostro racconto generazionale

03
Mar 2017

La musica è uno degli strumenti più potenti della comunicazione, non solo per quel mix di emozioni che riesce a generare ma anche, e soprattutto, perchè è democratica e lo è perché il suo messaggio arriva a tutti, è trasversale, riesce a passare tra le generazioni e, allo stesso modo, unisce le “classi sociali”, semplificando i linguaggi del loro dialogo.

Proprio per queste sue caratteristiche intrinseche, la penna del compositore musicale riesce forse meglio di altre a descrivere la realtà, decodificando messaggi complessi attraverso immagini, ritmi e ritornelli che possono più facilmente essere compresi o ricordati da tutti.

Ne è un esempio l’ultimo album di Brunori Sas, intitolato “A casa tutto bene”, che è una delle migliori narrazioni della società italiana attuale degli ultimi tempi e, allo stesso tempo, un vero e proprio manifesto generazionale, che dovrebbe essere ascoltato soprattutto da chi lavora per i giovani o con i giovani o da chi, troppo spesso, liquida il dibattito sul tema generazionale con etichette semplicistiche e sbrigative, come bamboccioni, mammoni, alienati di internet e così via.

De Andrè in uno dei suoi ultimi concerti disse: “io non penso che i giovani d’oggi non abbiano valori; hanno sicuramente dei valori che noi non siamo ancora riusciti a capire bene, perché siamo troppo affezionati ai nostri”. Ed è esattamente questo il nodo da sciogliere: bisogna che le nuove generazioni si diano una identità, che si definiscano e raccontino chi sono e cosa vogliono, solo così potranno essere ascoltate e rispettate.

Questa definizione di sé ha nella musica uno dei maggiori alleati ed è, probabilmente, anche per questo che nel panorama musicale italiano degli ultimi anni ci sono sempre più proposte musicali interessanti, provenienti proprio da giovani talenti, che stanno narrando una generazione e un’epoca storica.

Emblematica è la vittoria di Sanremo di Gabbani, non solo perché ha conquistato il palco a 35 anni, ma perchè lo ha fatto parlando di società e di crisi dell’occidente e non di amore, come ci si aspetterebbe dal Festival e, soprattutto, è riuscito a farlo con leggerezza e allegria, comunicando una certa visione del mondo che resta impressa insieme al ritornello della sua canzone.

A casa tutto bene

L’ascolto di “A casa tutto bene” è catartico, libera dalla paura di sentirsi soli in questa fase di trasformazioni radicali, perché mostra come certe sensazioni, emozioni e timori, sono condivisi e visti così spaventano anche di meno.

Il racconto di Brunori fa dall’attualità non solo il suo punto d’osservazione sul mondo, ma anche il luogo dove trovare metafore, teorie e letture di quello che accade, per rimetterlo in musica. Così ha intitolato uno dei brani “La vita liquida”, riprendendo la teoria del celebre sociologo Zygmunt Bauman sulla società liquida, ma dandone una declinazione molto reale, quasi quotidiana, al punto che liquidi diventano anche il lavoro, il sesso, le convinzioni e la morale, tutto talmente liquido che si rischia di evaporare e non avere più punti certi di riferimento.

L’insicurezza e la paura sono, infatti, i temi chiave cantati dal cantautore calabrese in questo disco, che riesce a descrivere con semplicità e realismo la società italiana di oggi, soprattutto quella che osservano e in cui sono immersi, per riprendere la metafora della liquidità, le generazioni di giovani, che del cantautore sono il pubblico principale.

E’ un disco che descrive la società in cui viviamo e ci aiuta a capirla meglio, racconta di noi, delle nostre paure, per provare a esorcizzarle, narrando problemi e sofferenze comuni, come la crisi lavorativa oppure il senso di impotenza e spesso di irrilevanza davanti a un mondo che cambia e in cui, troppo spesso, ci sentiamo di non poter incidere sulla direzione che prende.

Ne “Il vestito da torero” tutto questo diventa una parodia di se stesso cantante e quando dice “La realtà è una merda, ma non finisce qua. Passami il mantello nero, il costume da torero, oggi salvo il mondo intero con un pugno di poesie”, ad ascoltarlo si rivive un po’ la sensazione che proviamo tutti quando con i nostri impegni quotidiani, di studio o di lavoro o associativi, proviamo a cambiare le cose e, magari quando è più difficile del solito, davvero ci chiediamo “ma chi me lo fa fare,? Tanto non cambia nulla!”.

Tuttavia, mentre Brunori grida questa condizione di sconforto, ci ricorda che “morire serve, anche a rinascere” e così con “La verità” celebra al massimo il coraggio, spingendo a non cedere alla passività e allo sconforto. E quando canta “Te ne sei accorto, sì, che passi tutto il giorno a disegnare quella barchetta ferma in mezzo al mare e non ti butti mai?”, sembra proprio dire alla parte di noi più pigra, all’anima di free rider che abbiamo dentro, di svegliarsi e di attivarsi, per prendere finalmente il largo.

Sarà che era da tempo che un disco non mi conquistava così, sarà che ha toccato i miei punti più deboli, ma davvero merita di essere ascoltato.

 

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